Spettacoli Disponibili
- GIORDANO BRUNO
- ELIZABETH E JOHN DEE
- BIANCA
- IL SEGRETO DEI MASSONI
- MARIA MADDALENA
- NELLA RADURA
- CANTI D'ORIENTE E D'OCCIDENTE
- UNA STAGIONE ALL'INFERNO
- VIAGGIO NELLA DIVINA COMMEDIA
- FESTA DI COMPLEANNO
Bruno forse non ha mai creduto davvero di poter mutare i destini del mondo e di rendere l’umanità più civile, più disposta al dialogo, più aperta verso tutte le idee e conoscenze, fuori dal pregiudizio, ma certamente ha avuto tutta la consapevolezza di agire affinché i tempi mutassero verso un’effettiva epoca di tolleranza. Che a distanza di 400 e più anni non sia cambiato nulla non si può dire, ma che il cammino sia ancora lungo forse val la pena rammentarlo.
La magia, gli incanti, i sortilegi, l’arte della memoria, il furore, la passione di un personaggio “grande” sono gli elementi ispiratori dello spettacolo; e ancora l’irruzione di personaggi con cui Bruno ha discusso, agito, amato, litigato, sognato: Elisabetta d’Inghilterra, Shakespeare, Enrico III di Francia, le ombre di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.
La complessa personalità di Giordano Bruno filosofo e mago è calata in un contesto storico illuminato dalla Filosofia Ermetica, dall’Umanesimo e Rinascimento.
In realtà a Campo de’ Fiori gli inquisitori hanno bruciato il pensiero degli Dei e l’Anima Mundi; infatti Bruno fu condannato essenzialmente per due capi d’accusa: l’anima in tutte le cose e la vita in tutto l’universo. Quindi è stata la Natura Divinizzata a salire sul patibolo, unitamente alla Grande Madre Iside.
Abbiamo attinto a testi di Gabriele La Porta, Frances Yates, James Hillman, Giorgio Colli e, in primis, alle opere di Bruno, in particolare a Lo Spaccio de la bestia trionfante, De gli eroici furori, Sigillus Sigillorum.
Lo spettacolo fa parte di un più ampio progetto che coniuga le varie arti e la cui finalità consiste nel richiamare l’attenzione dello spettatore su alcuni temi fondamentali dell’Etica.
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La magia, gli incanti, i sortilegi, l’arte della memoria, il furore, la passione di un personaggio “grande” sono gli elementi ispiratori dello spettacolo; e ancora l’irruzione di personaggi con cui Bruno ha discusso, agito, amato, litigato, sognato: Elisabetta d’Inghilterra, Shakespeare, Enrico III di Francia, le ombre di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola.
La complessa personalità di Giordano Bruno filosofo e mago è calata in un contesto storico illuminato dalla Filosofia Ermetica, dall’Umanesimo e Rinascimento.
In realtà a Campo de’ Fiori gli inquisitori hanno bruciato il pensiero degli Dei e l’Anima Mundi; infatti Bruno fu condannato essenzialmente per due capi d’accusa: l’anima in tutte le cose e la vita in tutto l’universo. Quindi è stata la Natura Divinizzata a salire sul patibolo, unitamente alla Grande Madre Iside.
Abbiamo attinto a testi di Gabriele La Porta, Frances Yates, James Hillman, Giorgio Colli e, in primis, alle opere di Bruno, in particolare a Lo Spaccio de la bestia trionfante, De gli eroici furori, Sigillus Sigillorum.
Lo spettacolo fa parte di un più ampio progetto che coniuga le varie arti e la cui finalità consiste nel richiamare l’attenzione dello spettatore su alcuni temi fondamentali dell’Etica.
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ELIZABETH E JOHN DEE
Atto unico di Maurizio Barracano e Anna Cuculo
Personaggi
Atto unico di Maurizio Barracano e Anna Cuculo
Personaggi
- Elizabeth, Regina d'Inghilterra
- John Dee, scienziato matematico geografo astronomo filosofo astrologo mago
- Edward Kelley, dalle orecchie mozze, medium
- Hercule François Duc d'Anjou e d'Alençon, fidanzato di Elizabeth, detto affettuosamente Ranocchio
- Azoth, un jolly fuori dal tempo
- La Musica Antica
Un dialogo tra la regina Elisabetta I d'Inghilterra e il matematico, scienziato e mago John Dee, favorito della regina, la quale si avvalse della sua scienza e delle sue doti di astrologo.
Nel rispetto della storia e della ricerca esoterica, vengono svelati alcuni dei 'misteri' che condussero l'Inghilterra di Elisabetta I a divenire la prima potenza navale nel mondo. In più di un'occasione la regina si recò a trovare John Dee nella sua casa di Mortlake. È qui che si ambienta lo spettacolo in massima parte.
Altri personaggi occupano la vita intima dei due: il giovane fidanzato della regina, ben presto abbandonato, e il medium Edward Kelley, a cui erano state mozzate le orecchie per qualche azione passata poco gradita al potere.
Un posto a sé, anche se interferisce di continuo con i personaggi, occupa Azoth, figura atemporale, cinica, grottesca e a volte sgradevole persino con il pubblico.
La musica del liuto vive sulla scena.
Lo spettacolo ha debuttato il 4 novembre 2011 all'Alfa Teatro in Torino
Nel rispetto della storia e della ricerca esoterica, vengono svelati alcuni dei 'misteri' che condussero l'Inghilterra di Elisabetta I a divenire la prima potenza navale nel mondo. In più di un'occasione la regina si recò a trovare John Dee nella sua casa di Mortlake. È qui che si ambienta lo spettacolo in massima parte.
Altri personaggi occupano la vita intima dei due: il giovane fidanzato della regina, ben presto abbandonato, e il medium Edward Kelley, a cui erano state mozzate le orecchie per qualche azione passata poco gradita al potere.
Un posto a sé, anche se interferisce di continuo con i personaggi, occupa Azoth, figura atemporale, cinica, grottesca e a volte sgradevole persino con il pubblico.
La musica del liuto vive sulla scena.
Lo spettacolo ha debuttato il 4 novembre 2011 all'Alfa Teatro in Torino
BIANCA
Testo e regia di Anna Cuculo
Personaggi e interpreti
Renata: professoressa liceale, divorziata, 42 anni.
Andrea: padrona di casa, attrice-autrice, 39 anni, fidanzata con Violetta.
Giuditta: studentessa universitaria fuori corso, collaboratrice amministrativa in Direzione Didattica, in analisi, alla ricerca dell'uomo ideale, ha 32 anni.
Virginia: sposata da un anno e mezzo, ha un figlio di 6 mesi, in piena crisi depressiva, ha perso il suo 'io', ha 30 anni.
Babila: traduttrice, divorziata da molti anni, vive con suo figlio, ha 50 anni.
Violetta: si occupa di esoterismo e arte; fidanzata con Andrea, ha 26 anni.
Bianca: la sedia vuota, è il personaggio assente di cui si parla, la somma dei sei personaggi, la donna perfetta, colei che viene attesa. Ma non giungerà mai, perché è già presente in tutte le sei donne. Sta alla consapevolezza di ognuna di loro 'comprendere' per indirizzarsi verso un livello superiore di conoscenza.
Il testo, pur lieve nella sua scrittura, è ispirato a uno studio sulla forza vitale presente nei chakra
Lo spettacolo ha debuttato il 18 marzo 2011 all'Alfa Teatro in Torino. È rappresentabile anche in una qualunque sala.
Testo e regia di Anna Cuculo
Personaggi e interpreti
- RENATA Rossana Bena
- ANDREA Claudia Vianino
- GIUDITTA Milena Albertone
- VIRGINIA Alessandra Campo
- BABILA Carla Grosso
- VIOLETTA Cecilia Cernicchiaro
Renata: professoressa liceale, divorziata, 42 anni.
Andrea: padrona di casa, attrice-autrice, 39 anni, fidanzata con Violetta.
Giuditta: studentessa universitaria fuori corso, collaboratrice amministrativa in Direzione Didattica, in analisi, alla ricerca dell'uomo ideale, ha 32 anni.
Virginia: sposata da un anno e mezzo, ha un figlio di 6 mesi, in piena crisi depressiva, ha perso il suo 'io', ha 30 anni.
Babila: traduttrice, divorziata da molti anni, vive con suo figlio, ha 50 anni.
Violetta: si occupa di esoterismo e arte; fidanzata con Andrea, ha 26 anni.
Bianca: la sedia vuota, è il personaggio assente di cui si parla, la somma dei sei personaggi, la donna perfetta, colei che viene attesa. Ma non giungerà mai, perché è già presente in tutte le sei donne. Sta alla consapevolezza di ognuna di loro 'comprendere' per indirizzarsi verso un livello superiore di conoscenza.
Il testo, pur lieve nella sua scrittura, è ispirato a uno studio sulla forza vitale presente nei chakra
Lo spettacolo ha debuttato il 18 marzo 2011 all'Alfa Teatro in Torino. È rappresentabile anche in una qualunque sala.
Elisabetta e il suo pirata: due personaggi sull'altalena della storia.
Elisabetta I, regina d'Inghilterra e Francis Drake, navigatore e corsaro. Protagonisti e complici per anni.
Un dialogo epistolare (ideato di sana pianta) tra un uomo che solcava gli oceani, protagonista di imprese memorabili, che ha vissuto esperienze e avventure straordinarie, tra tempeste furiose, e una donna sola, di quella solitudine che è la condanna del potere, costretta a navigare in acque ancora più insidiose, in una Londra grigia e nebbiosa, condannata alla 'verginità' dalle alchimie della politica e della ragion di stato.
La messa in scena accompagna l'ilarità del testo; si passa da momenti di drammatica intimità dei due personaggi a scene di grande vivacità interpretativa.
Lo spettacolo ha debuttato nel 2010 al Teatro Gobetti in Torino.
IL SEGRETO DEI MASSONI
Iperdramma. Opera allegra in due atti ne la quale i Liberi Muratori si dimostreranno incorruttibili e in fine dalle donne saranno ben amati. Testo di anonimo francese, 1737 Traduzione e adattamento a cura di Giuseppe M. Vatri Regia di Anna Cuculo Personaggi
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1737, Parigi.
Si celebrava l'elezione di un pari d'Inghilterra a Gran Maestro parigino. Da gennaio le gazzette parlano della Massoneria, quelle riunioni segrete cui partecipano borghesi e aristocratici, e del suo segreto. Il potere se ne interessa: un ligio sottotenente di polizia riesce a far irruzione in qualche riunione massonica, sequestrando documenti e verbali, ma fermandosi di fronte a intoccabili aristocratici. In qualche canto un sospiroso intellettuale quietista scrive un discorso che propone il sostegno della corona alla Massoneria. Il cardinale ministro lo ferma: quelle assemblee "dispiacciono al re". Meno di dieci logge sono attive a Parigi, ma tutto il mondo si interessa alla Massoneria e ai suoi segreti: "non c'è garzone di negozio che non ci saluti vantando i nostri segni di riconoscimento", lamenta un abate Massone. Il segreto è la cerimonia di iniziazione: il ligio sottotenente, saputola da una cantante di teatro (che l'aveva saputa da un amante: ogni segreto ha il suo prezzo e il suo traditore), finalmente dà il segreto alle stampe.
Insomma, la Massoneria, la novità arrivata dall'Inghilterra appena dieci anni prima, è di gran moda. Così di moda che un autore, rimasto anonimo, prende il suo segreto a tema di una commedia, Les Frimaçons, da rappresentarsi alla Comédie Française, ma che a causa degli attacchi polizieschi sarà stampata a Londra solo nel 1740. Una donna curiosa, due amanti, il segreto massonico da scambiare con le sue grazie, uno degli amanti già Massone, l'altro che deve esserlo per poter conoscere il segreto, medici immaginari e squattrinati poeti che aspirano alla Massoneria, camerieri pasticcioni e ancelle astute a far da contorno, in un grazioso intrigo tipicamente settecentesco. Il testo è stato per la prima volta tradotto in italiano da Giuseppe M. Vatri.
Lo spettacolo ha debuttato in Prima Nazionale nel 2005 al teatro Juvarra in Torino.
Si celebrava l'elezione di un pari d'Inghilterra a Gran Maestro parigino. Da gennaio le gazzette parlano della Massoneria, quelle riunioni segrete cui partecipano borghesi e aristocratici, e del suo segreto. Il potere se ne interessa: un ligio sottotenente di polizia riesce a far irruzione in qualche riunione massonica, sequestrando documenti e verbali, ma fermandosi di fronte a intoccabili aristocratici. In qualche canto un sospiroso intellettuale quietista scrive un discorso che propone il sostegno della corona alla Massoneria. Il cardinale ministro lo ferma: quelle assemblee "dispiacciono al re". Meno di dieci logge sono attive a Parigi, ma tutto il mondo si interessa alla Massoneria e ai suoi segreti: "non c'è garzone di negozio che non ci saluti vantando i nostri segni di riconoscimento", lamenta un abate Massone. Il segreto è la cerimonia di iniziazione: il ligio sottotenente, saputola da una cantante di teatro (che l'aveva saputa da un amante: ogni segreto ha il suo prezzo e il suo traditore), finalmente dà il segreto alle stampe.
Insomma, la Massoneria, la novità arrivata dall'Inghilterra appena dieci anni prima, è di gran moda. Così di moda che un autore, rimasto anonimo, prende il suo segreto a tema di una commedia, Les Frimaçons, da rappresentarsi alla Comédie Française, ma che a causa degli attacchi polizieschi sarà stampata a Londra solo nel 1740. Una donna curiosa, due amanti, il segreto massonico da scambiare con le sue grazie, uno degli amanti già Massone, l'altro che deve esserlo per poter conoscere il segreto, medici immaginari e squattrinati poeti che aspirano alla Massoneria, camerieri pasticcioni e ancelle astute a far da contorno, in un grazioso intrigo tipicamente settecentesco. Il testo è stato per la prima volta tradotto in italiano da Giuseppe M. Vatri.
Lo spettacolo ha debuttato in Prima Nazionale nel 2005 al teatro Juvarra in Torino.
IL FIGLIO DELLA VEDOVA
(DON PIPETA L'ASILÈ) Rappresentazione storico-popolare torinese dal romanzo di Luigi Pietracqua Adattamento teatrale a cura di Giuseppe M. Vatri Regia di Anna Cuculo Assistente alla regia Pietro Giau Disegni di scenografia dal vivo a cura di Anna Giuliano Personaggi
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Nel giugno 1867, direttore e comproprietario della Gasëta d'Gianduja, Luigi Pietracqua (1832-1901) cominciava la pubblicazione a puntate
di quello che diventerà il suo romanzo più famoso, in dialetto piemontese, Don Pipeta l'Asilè.
Luigi Pietracqua era un uomo dei giornali. Arrivato bocia di tipografia alla Gazzetta, aveva percorso tutta la strada della stampa (Gazzetta, poi alla Gazzetta Piemontese) attraversando anche le commedie in dialetto e i primi racconti.
Era un massone, come il suo direttore alla Gazzetta Felice Govean, e fu ufficiale eletto (1862) del primo Grande Oriente d'Italia di Torino. Per tutta la vita rimase vicino ad amici massoni, fornendo spesso appoggi e riferimenti a quei massoni democratici e socialisti che nel regno d'Italia si trovassero a disagio (= inseguiti dalla polizia), grazie spesso all'aiuto delle logge svizzere e di fratelli italiani espatriati. Dai massoni che conobbe vide confermati i suoi sentimenti socialisti umanitari e assorbì una buona dose di anticlericalismo.
Tutto questo attraversa e sostiene il racconto storico-popolare Don Pipeta l'Asilè.
È un'opera corale, nella quale transitano decine di personaggi e di luoghi della Torino settecentesca, dove persino il personaggio che accetta di fare da titolo è un protagonista minore: sono più importanti le situazioni, le voci della gente del popolo e dei potenti, i caratteri e i mestieri, le contrade e i borghi, la campagna di fuori e le vigne al di là del fiume.
La nostra versione teatrale si ricostruisce intorno alla presenza di don Pipeta, in gioventù sfuggito alle corde del tribunale del Santo Uffizio, ora commerciante ambulante di aceto in contrada san Michele (la chiesa di San Domenico e gli edifici allora adiacenti), alla sua figura bizzarra ma benvoluta da tutti e alla sua passione per i libri. Poi intorno a Stefano Borello, venuto dalla Valsesia a sposare e avviare la sua bottega di tintoria a Torino, artigiano e minimo borghese ormai affermato, vedovo con prole, anche lui sedotto dalla pericolosa passione per i libri. E al professore Parodi, lui sì, uomo di libri, quando c'era l'Indice e non il Salone, ex insegnante all'università, che per il racconto perderà la vita.
Di fianco alla traccia romanzesca un autore, un capocomico intellettuale materialista spretato, a commentare l'intrigo: questo lavoro teatrale merita di essere scritto, o non deve forse diventare qualcosa d'altro? Magari un racconto storico, ma popolare, in quel dialetto che sono in tanti a leggere e comprendere bene nella Torino di oggi (1861). Lo spettacolo ha debuttato nel 2009 al teatro Gobetti in Torino.
di quello che diventerà il suo romanzo più famoso, in dialetto piemontese, Don Pipeta l'Asilè.
Luigi Pietracqua era un uomo dei giornali. Arrivato bocia di tipografia alla Gazzetta, aveva percorso tutta la strada della stampa (Gazzetta, poi alla Gazzetta Piemontese) attraversando anche le commedie in dialetto e i primi racconti.
Era un massone, come il suo direttore alla Gazzetta Felice Govean, e fu ufficiale eletto (1862) del primo Grande Oriente d'Italia di Torino. Per tutta la vita rimase vicino ad amici massoni, fornendo spesso appoggi e riferimenti a quei massoni democratici e socialisti che nel regno d'Italia si trovassero a disagio (= inseguiti dalla polizia), grazie spesso all'aiuto delle logge svizzere e di fratelli italiani espatriati. Dai massoni che conobbe vide confermati i suoi sentimenti socialisti umanitari e assorbì una buona dose di anticlericalismo.
Tutto questo attraversa e sostiene il racconto storico-popolare Don Pipeta l'Asilè.
È un'opera corale, nella quale transitano decine di personaggi e di luoghi della Torino settecentesca, dove persino il personaggio che accetta di fare da titolo è un protagonista minore: sono più importanti le situazioni, le voci della gente del popolo e dei potenti, i caratteri e i mestieri, le contrade e i borghi, la campagna di fuori e le vigne al di là del fiume.
La nostra versione teatrale si ricostruisce intorno alla presenza di don Pipeta, in gioventù sfuggito alle corde del tribunale del Santo Uffizio, ora commerciante ambulante di aceto in contrada san Michele (la chiesa di San Domenico e gli edifici allora adiacenti), alla sua figura bizzarra ma benvoluta da tutti e alla sua passione per i libri. Poi intorno a Stefano Borello, venuto dalla Valsesia a sposare e avviare la sua bottega di tintoria a Torino, artigiano e minimo borghese ormai affermato, vedovo con prole, anche lui sedotto dalla pericolosa passione per i libri. E al professore Parodi, lui sì, uomo di libri, quando c'era l'Indice e non il Salone, ex insegnante all'università, che per il racconto perderà la vita.
Di fianco alla traccia romanzesca un autore, un capocomico intellettuale materialista spretato, a commentare l'intrigo: questo lavoro teatrale merita di essere scritto, o non deve forse diventare qualcosa d'altro? Magari un racconto storico, ma popolare, in quel dialetto che sono in tanti a leggere e comprendere bene nella Torino di oggi (1861). Lo spettacolo ha debuttato nel 2009 al teatro Gobetti in Torino.
"Ho ritrovato il vero senso delle metafore dei poeti. Mi sveglio ogni notte nell'incendio del mio stesso sangue".
Maria Maddalena o della salvezza è un racconto che Marguerite Yourcenar ha scritto all'età di 35 anni, insieme ad altri otto racconti e alcuni aforismi, in seguito a una forte crisi passionale. L'intera opera, raccolta nel volume Fuochi, di alta levatura poetica e tecnica eccezionale, nasce dall'analisi dell'amore totale, del rischio che esso esprime per sé e per l'altro, dell'idolatria dell'amato.
Passione, amore, esorcizzazione, glorificazione e trascendenza sono gli ingredienti che la caratterizzano.
"... Una di quelle passioni che porterebbero al suicidio... ma al contrario, grazie alla elevata presenza spirituale, si sublima nell'amore che non ha più nulla da chiedere, ma solo più da offrire".
Lo spettacolo è stato rappresentato nel 2008 in un Tempio Massonico. È rappresentabile sia su un palcoscenico che in qualsiasi sala.
Maria Maddalena o della salvezza è un racconto che Marguerite Yourcenar ha scritto all'età di 35 anni, insieme ad altri otto racconti e alcuni aforismi, in seguito a una forte crisi passionale. L'intera opera, raccolta nel volume Fuochi, di alta levatura poetica e tecnica eccezionale, nasce dall'analisi dell'amore totale, del rischio che esso esprime per sé e per l'altro, dell'idolatria dell'amato.
Passione, amore, esorcizzazione, glorificazione e trascendenza sono gli ingredienti che la caratterizzano.
"... Una di quelle passioni che porterebbero al suicidio... ma al contrario, grazie alla elevata presenza spirituale, si sublima nell'amore che non ha più nulla da chiedere, ma solo più da offrire".
Lo spettacolo è stato rappresentato nel 2008 in un Tempio Massonico. È rappresentabile sia su un palcoscenico che in qualsiasi sala.
NELLA RADURA
Atto unico. Liberamente tratto dai romances di William Shakespeare
Pericle, principe di Tiro - Cimbelino - Racconto d'inverno - La Tempesta
Adattamento e regia di Marco Zaccarelli
Con Anna Cuculo, Albino Marino, Federica Crisà
Costumi di Giorgio Franco
Luci di Sergio Rissone
Uno e molti possono essere i personaggi ma sulla scena un solo attore recita, incredibile trasformista, sempre una sola e unica commedia....
I quattro romances Pericle, principe di Tiro; Cimbelino; Racconto d'inverno; La Tempesta sono - seguiti dal solo e discusso Enrico VIII - gli ultimi lavori di William Shakespeare e costituiscono un gruppo di opere di ispirazione e composizione unitaria.
La padronanza dei temi, delle strutture sceniche e della scrittura da parte dell'autore è ormai assoluta e supporta una profonda riflessione filosofica e simbolica.
I contrasti si placano, il dolore causato è, così come l'errore, riparato dal perdono e una dolcezza serena e stanca conclude le vicende: il finale lieto vede sempre il trionfo dell'innocenza, la riconciliazione, il coronamento di una promessa d'amore. Il tutto in un mondo, fantastico e reale al tempo stesso, vallata o isola che sia, dove la saggezza e la grazia esorcizzano il dolore e la violenza.
Cronologicamente, da Pericle a La tempesta, tale 'rasserenamento' è evidente: l'intervento di forze magiche e un'atmosfera incantata trasmettono l'idea che per la condizione umana ci sia una speranza di redenzione.
Elementi comuni e fondanti dei quattro lavori sono la tempesta foriera di trasformazioni e mutamenti, la musica che tali mutamenti accompagna o allontana, la simbologia della magia e del sogno, il travestimento dei protagonisti, la trasformazione degli elementi, il ruolo delle figure femminili.
La rilettura di queste opere ha portato a immaginare un'attrice e un attore, non più giovani e un po' provati dal perenne girovagare da una piazza all'altra, che, accompagnati da una giovane attrice, estranea e presente al tempo stesso, fermano per un momento il loro cammino e dialogano mischiando nel loro parlare realtà quotidiana e personaggi interpretati, loro unica eredità e loro perenne fardello.
La sosta Nella radura è breve, ma, quando un temporale li obbligherà a ripartire, saranno entrambi consci di tutti i loro anni trascorsi e più capaci di affrontare con maggiore serenità quelli che a entrambi restano. Al pari di Prospero, che rinuncia alla magia per essere soltanto un uomo preparato a morire distaccandosi dalle passioni della vita.
Lo spettacolo ha debuttato nel gennaio 2007 alla Cavallerizza Reale di Torino, con il sostegno del Sistema Teatro Torino.
Atto unico. Liberamente tratto dai romances di William Shakespeare
Pericle, principe di Tiro - Cimbelino - Racconto d'inverno - La Tempesta
Adattamento e regia di Marco Zaccarelli
Con Anna Cuculo, Albino Marino, Federica Crisà
Costumi di Giorgio Franco
Luci di Sergio Rissone
Uno e molti possono essere i personaggi ma sulla scena un solo attore recita, incredibile trasformista, sempre una sola e unica commedia....
I quattro romances Pericle, principe di Tiro; Cimbelino; Racconto d'inverno; La Tempesta sono - seguiti dal solo e discusso Enrico VIII - gli ultimi lavori di William Shakespeare e costituiscono un gruppo di opere di ispirazione e composizione unitaria.
La padronanza dei temi, delle strutture sceniche e della scrittura da parte dell'autore è ormai assoluta e supporta una profonda riflessione filosofica e simbolica.
I contrasti si placano, il dolore causato è, così come l'errore, riparato dal perdono e una dolcezza serena e stanca conclude le vicende: il finale lieto vede sempre il trionfo dell'innocenza, la riconciliazione, il coronamento di una promessa d'amore. Il tutto in un mondo, fantastico e reale al tempo stesso, vallata o isola che sia, dove la saggezza e la grazia esorcizzano il dolore e la violenza.
Cronologicamente, da Pericle a La tempesta, tale 'rasserenamento' è evidente: l'intervento di forze magiche e un'atmosfera incantata trasmettono l'idea che per la condizione umana ci sia una speranza di redenzione.
Elementi comuni e fondanti dei quattro lavori sono la tempesta foriera di trasformazioni e mutamenti, la musica che tali mutamenti accompagna o allontana, la simbologia della magia e del sogno, il travestimento dei protagonisti, la trasformazione degli elementi, il ruolo delle figure femminili.
La rilettura di queste opere ha portato a immaginare un'attrice e un attore, non più giovani e un po' provati dal perenne girovagare da una piazza all'altra, che, accompagnati da una giovane attrice, estranea e presente al tempo stesso, fermano per un momento il loro cammino e dialogano mischiando nel loro parlare realtà quotidiana e personaggi interpretati, loro unica eredità e loro perenne fardello.
La sosta Nella radura è breve, ma, quando un temporale li obbligherà a ripartire, saranno entrambi consci di tutti i loro anni trascorsi e più capaci di affrontare con maggiore serenità quelli che a entrambi restano. Al pari di Prospero, che rinuncia alla magia per essere soltanto un uomo preparato a morire distaccandosi dalle passioni della vita.
Lo spettacolo ha debuttato nel gennaio 2007 alla Cavallerizza Reale di Torino, con il sostegno del Sistema Teatro Torino.
Unica Zürn, nata nel 1916 a Berlino-Grunewald, poetessa, pittrice, disegnatrice. Trascorre l'Oscura Primavera di un'infanzia segnata da dolorose e precoci scoperte, nella grande casa di famiglia. Dopo gli studi si sposa, ha due figli che, al momento della separazione, restano col padre. Nel 1953 conosce e segue a Parigi il pittore Hans Bellmer, con cui rimarrà fino alla morte. Frequenta il gruppo dei surrealisti, con i quali prende parte a numerose mostre. Fra i suoi amici sono André Breton, Marcel Duchamp, Victor Brauner, Max Ernst e Henri Michaux, al quale dedicherà il suo romanzo L'uomo nel gelsomino. Unica è catturata dal vortice affascinante e alchemico della sperimentazione artistica, dal piacere della lingua e della scrittura evocativa, dalle onde emotive del disegno automatico e dalle tensioni estreme che caratterizzano il clima culturale parigino di quegli anni. Ma per lei le 'belle sensazioni di follia' diventano presenze violente e distruttive.
La follia si trasforma in una sorta di droga scintillante, che permette capacità sovrumane, lasciando trasparire la possibilità di cambiare la propria persona, di diventare qualcun altro, di esorcizzare l'Oscura Primavera della puerizia.
Il testo, scritto nell'intervallo tra due dei molti ricoveri in ospedali psichiatrici, è un'elaborazione poetica ed estetica della vita. Ma la speranza di sopravvivere nella fantasia, nella continua trasmutazione teatrale dell'ordinario, non si realizza. A 54 anni, nel 1970, a Parigi, Unica si uccide buttandosi da una finestra.
Nella proposizione scenica uno spazio sezionato e interno cerca di infiltrarsi fra il pubblico come il disegno di una finestra interiore; in questo spazio prende vita un collage schizofrenico di molteplici ruoli esistenziali che echeggiano nella grande scatola cranica collettiva e febbricitante del teatro che la contiene
La follia si trasforma in una sorta di droga scintillante, che permette capacità sovrumane, lasciando trasparire la possibilità di cambiare la propria persona, di diventare qualcun altro, di esorcizzare l'Oscura Primavera della puerizia.
Il testo, scritto nell'intervallo tra due dei molti ricoveri in ospedali psichiatrici, è un'elaborazione poetica ed estetica della vita. Ma la speranza di sopravvivere nella fantasia, nella continua trasmutazione teatrale dell'ordinario, non si realizza. A 54 anni, nel 1970, a Parigi, Unica si uccide buttandosi da una finestra.
Nella proposizione scenica uno spazio sezionato e interno cerca di infiltrarsi fra il pubblico come il disegno di una finestra interiore; in questo spazio prende vita un collage schizofrenico di molteplici ruoli esistenziali che echeggiano nella grande scatola cranica collettiva e febbricitante del teatro che la contiene
CANTI D'ORIENTE E D'OCCIDENTE
GIUSEPPE CONTE
Spettacolo concerto
Musiche originali di Matteo Negrin eseguite da:
Si può prevedere un incontro con il poeta Giuseppe Conte
I Canti costituiscono nel percorso poetico di Giuseppe Conte l'opera più matura, ciclica, ciclopica, circolare.
Matura, nel senso che Conte non ha più niente da chiedere alla tecnica, lasciando sciolte le ali dell'ispirazione. Ciclica perché abbraccia l'atemporalità del Mito, coglie frammenti aurei di Verità. Ciclopica perché contempla fatti ed eventi non logorabili dal tempo con il coraggio umile e tracotante dei temerari. Circolare per la vastità dello sguardo da cui nasce il Canto, cogliendo anzi tempo e trasformando i germi obliqui della globalizzazione con l'occhio profetico della vista interiore.
Il Poema si apre con la concentrazione lenta e profonda, via via sempre più accelerata, di una danza Sufi. Il Canto scava, come il piede del sapiente, sentimenti, odori, passioni, fino al centro del Nur, la luce, uno dei 99 nomi di Allah 'il cui nome sia benedetto'. Entra nel corpo della Tradizione Occidentale con ritmi aulici e omerici, ricucendo i nessi della Modernità e chiudendosi con la cornamusa guerriera del bardo celtico, che suona in onore del patriota irlandese Bobby Sands, lasciatosi morire di fame per la sua patria. E chiude in questo modo il cerchio della Tradizione.
Nell'affrontare la composizione delle musiche si è voluto evidenziare tre elementi intrinseci alla scrittura e alla poetica dell'autore: il presupposto mito-modernista, la sinestesia e il rigore filologico. La struttura bipartita del testo è intesa nella stesura musicale nel senso di un percorso che dal mondo islamico porta all'occidente, dalla modalità conduce all'armonia.
GIUSEPPE CONTE
Spettacolo concerto
Musiche originali di Matteo Negrin eseguite da:
- Fiorenzo Bodrato al contrabbasso
- Andrea Buffa al sax soprano
- Gio Dimasi alle percussioni
- Matteo Negrin alla chitarra
Si può prevedere un incontro con il poeta Giuseppe Conte
I Canti costituiscono nel percorso poetico di Giuseppe Conte l'opera più matura, ciclica, ciclopica, circolare.
Matura, nel senso che Conte non ha più niente da chiedere alla tecnica, lasciando sciolte le ali dell'ispirazione. Ciclica perché abbraccia l'atemporalità del Mito, coglie frammenti aurei di Verità. Ciclopica perché contempla fatti ed eventi non logorabili dal tempo con il coraggio umile e tracotante dei temerari. Circolare per la vastità dello sguardo da cui nasce il Canto, cogliendo anzi tempo e trasformando i germi obliqui della globalizzazione con l'occhio profetico della vista interiore.
Il Poema si apre con la concentrazione lenta e profonda, via via sempre più accelerata, di una danza Sufi. Il Canto scava, come il piede del sapiente, sentimenti, odori, passioni, fino al centro del Nur, la luce, uno dei 99 nomi di Allah 'il cui nome sia benedetto'. Entra nel corpo della Tradizione Occidentale con ritmi aulici e omerici, ricucendo i nessi della Modernità e chiudendosi con la cornamusa guerriera del bardo celtico, che suona in onore del patriota irlandese Bobby Sands, lasciatosi morire di fame per la sua patria. E chiude in questo modo il cerchio della Tradizione.
Nell'affrontare la composizione delle musiche si è voluto evidenziare tre elementi intrinseci alla scrittura e alla poetica dell'autore: il presupposto mito-modernista, la sinestesia e il rigore filologico. La struttura bipartita del testo è intesa nella stesura musicale nel senso di un percorso che dal mondo islamico porta all'occidente, dalla modalità conduce all'armonia.
Nel testo Rimbaud affronta la questione del cristianesimo. La sua, come dice Hugo Friedrich, è una di quelle opposizioni che restano sempre sotto il dominio di ciò contro cui si levano. La coscienza di questa dipendenza, nell'opera, si trasforma in poesia. la rivolta contro le tradizioni in generale, la sua ultima parola sul cristianesimo si consumano in una bruciante passione per l'Ignoto, e la sua indignazione si placa. Rimbaud brucia, attraverso la parola, tutto ciò che è reale; brucia la propria stessa vita. E la sua anima si immerge in una dannazione che, frantumandosi, esplode nel Caos fino a ricongiungersi al silenzio.
'La lotta spirituale è brutale come la battaglia fra uomini; ma la visione della giustizia è il piacere di Dio solo'.
Nella messa in scena un plesso di sonorità aspre e decostruite si impastano con la parola in senso alchemico, fino a dissolversi in un universo frammentato e asimmetrico. La scena si concretizza in un espressionismo vicino alla pittura di Francis Bacon, che bene incarna la lacerazione dello spirito. Lo spettacolo ha debuttato nel 2000 Al Teatro Juvarra in Torino.
'La lotta spirituale è brutale come la battaglia fra uomini; ma la visione della giustizia è il piacere di Dio solo'.
Nella messa in scena un plesso di sonorità aspre e decostruite si impastano con la parola in senso alchemico, fino a dissolversi in un universo frammentato e asimmetrico. La scena si concretizza in un espressionismo vicino alla pittura di Francis Bacon, che bene incarna la lacerazione dello spirito. Lo spettacolo ha debuttato nel 2000 Al Teatro Juvarra in Torino.
VIAGGIO NELLA DIVINA COMMEDIA
I versi di Dante accompagnati da musiche dell'epoca
Spettacolo/concerto con
I versi di Dante accompagnati da musiche dell'epoca
Spettacolo/concerto con
- L'ENSEMBLE CANAVISIUM MOYEN ÂGE
- Daniele Montagner flauti
- Tiziano Nizzia armonium, symphonia, percussioni
- Paolo Lova liuti, guitarra moresca, lavta
Tutti i canti della 'Commedia' si prestano a una lettura pubblica e tutti possono essere accompagnati dalla musica: non era infatti estranea alla sensibilità di Dante, e più volte nel suo poema dà prova di conoscerla e apprezzarla, così come mostra di amare i musicisti. Quale incontro è più commovente e gioioso se non quello con il musico Casella nel secondo canto del Purgatorio? amor che nella mente mi ragiona/ cominciò elli allor si dolcemente/ che la dolcezza ancor dentro mi sona (vv.112-114). Alcuni canti che più di altri offrono dialoghi, colpi di scena, descrizioni efficaci oppure tratteggiano figure imponenti e indimenticabili, possono essere definiti più teatrali e quindi più idonei a una lettura in pubblico. Toglieremmo valore alla 'Commedia' se volessimo stabilire una graduatoria tra canti, spezzando l'unità stilistica e l'impianto narrativo del poema; è però possibile individuarne alcuni che presentano affinità tematiche o che toccano particolari corde della nostra sensibilità.
Canti in Programma:
Canti in Programma:
- INFERNO canto V, canto XXVI, canto XXXII, canto XXXIII
- PURGATORIO canto VI, canto XI
- PARADISO canto XXXIII
E L’ASCENSORE?
di Antonio Cranco ispirato a Les Copropriétaires di Gérard Darier regia di Anna Cuculo Personaggi e interpreti
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Liberamente
tratto dall’originale ‘Les Copropriétaires’ di Gérard Darier, è una
metafora brillante e crudele dell’Italia dei nostri giorni. Nel bel
mezzo di un’assemblea condominiale, come succede nella realtà, ognuno si
preoccupa dei propri interessi personali e non scende a patti con le
altrui proposte. Vengono a galla sentimenti violenti trattenuti da
tempo, invidia e cattiveria; la giovane amministratrice soccombe e verrà
sostituita. Insomma, un vero e proprio inferno di vita quotidiana, in
un congegno comico per morir dal ridere.
“IN SCENA: E L’ASCENSORE? recensione di Daniele Giordano
… una banale riunione condominiale, riuniti per deliberare e risolvere una serie di problemi tra cui, se mettere o no l’ascensore nello stabile. Da qui emerge la vera natura dei condomini stessi e più in generale di quella umana: fuoriescono rivalità e ripicche per dare luogo a pettegolezzi e maldicenze. La grottesca natura del proprio carattere sottratto alla vista, ma dietro ogni ingresso di un caseggiato. Tra i presenti traboccano tutte le sfaccettature di un'ironica realtà, messa in scena delle bassezze a cui si può arrivare fra vicini di pianerottolo. Un campionario approfondito e sagace, dove non manca il più classico dei menage o tresca che dir si voglia tra le umidità delle cantine e l’appartamento sfitto. Non è un caso che il pubblico si senta parte in causa e… partecipi alla riunione… sebbene dalla platea fuori scena, perché quella riunione gli appartiene. Leggero e divertente, effervescente al ritmo di un vaudeville odierno, che svela con acutezza la crudeltà sospesa dietro i gesti quotidiani.
Torino (Italia), 21 ottobre 2013”
“IN SCENA: E L’ASCENSORE? recensione di Daniele Giordano
… una banale riunione condominiale, riuniti per deliberare e risolvere una serie di problemi tra cui, se mettere o no l’ascensore nello stabile. Da qui emerge la vera natura dei condomini stessi e più in generale di quella umana: fuoriescono rivalità e ripicche per dare luogo a pettegolezzi e maldicenze. La grottesca natura del proprio carattere sottratto alla vista, ma dietro ogni ingresso di un caseggiato. Tra i presenti traboccano tutte le sfaccettature di un'ironica realtà, messa in scena delle bassezze a cui si può arrivare fra vicini di pianerottolo. Un campionario approfondito e sagace, dove non manca il più classico dei menage o tresca che dir si voglia tra le umidità delle cantine e l’appartamento sfitto. Non è un caso che il pubblico si senta parte in causa e… partecipi alla riunione… sebbene dalla platea fuori scena, perché quella riunione gli appartiene. Leggero e divertente, effervescente al ritmo di un vaudeville odierno, che svela con acutezza la crudeltà sospesa dietro i gesti quotidiani.
Torino (Italia), 21 ottobre 2013”
Federico, professionista stimato e benestante, vive con la moglie Mariella e il figlio Sandro, nella palazzina di proprietà di sua madre - nonna Caterina, colonna finanziaria della famiglia - la quale occupa un appartamento tutto per sé al piano nobile.
Nella stessa palazzina, all’ultimo piano, abita Elena, altra figlia di Federico e Mariella, con suo marito Fabrizio.
Maria, la cameriera, assiste la nonna e si dà un gran da fare, ai vari piani, per le necessità di tutti.
Si festeggia il compleanno della nonna nell’appartamento di Federico. Questi non perde l’occasione per fare dello spirito su tutti e per sottolineare la sua valutazione negativa nei riguardi di Fabrizio. Fabrizio si irrita per qualche battuta inopportuna del suocero, subito raccolta con malizia dalla cameriera Maria.
Fabrizio decide di vendicarsi del suocero, ridicolizzandolo agli occhi della famiglia. Approfitta quindi dell’ingenuità e del narcisismo della sorella Yvonne - innamorata di Sandro, per organizzare quella che dovrebbe essere una verifica del proprio appeal sugli uomini. La ‘verifica’ nasconde una trappola ai danni del suocero, che ci cade immediatamente, travolgendo anche Yvonne.
Le conseguenze metteranno in evidenza la fragilità di una famiglia che pareva invece unita e felice.
Dopo il fattaccio, la nonna, bigotta e puritana, fa segretamente atto di donazione di tutti i suoi beni alla nipote Elena, ritenuta, a fil di logica, l’unica persona della famiglia capace di salvaguardare l’adorato patrimonio accumulato in una vita di risparmio. La nonna morirà di dispiacere poco tempo dopo e la sorpresa, post mortem, della sua donazione produrrà vistose reazioni da parte di chi era interessato a una successione naturale.
Il rapporto tra Sandro e Yvonne viene distrutto. Yvonne, comprendendo di essere stata ridotta a uno strumento, chiede al fratello, a titolo di risarcimento, una parte della donazione di cui anche egli beneficerà indirettamente. In caso contrario rivelerà il tranello, mettendo così in pericolo la sua già precaria rispettabilità all’interno della famiglia.
Alcune verità finiscono col venire fuori; e si assiste, questa volta, alla cinica strumentalizzazione di Fabrizio da parte della moglie Elena, che non intende dividere (come potrebbe) con i suoi famigliari la fortuna che le è piovuta addosso. Le reazioni isteriche da parte di chi è rimasto danneggiato e l’intervento patetico di Federico, ormai ridotto a una larva di padre di famiglia, culmineranno nel colpo della pistola che Maria si trova tra le mani, con la quale uccide Fabrizio in uno stato di trance, medium inconsapevole di un supremo giudice vendicatore.
Lo sgomento riporta la famiglia a un simulacro di pace fatto solo di silenzio.
Il finale - a sorpresa!… - ricapitola i mali attuali interni alla istituzione della famiglia. Dalle sventure personali il padre trae una lucida, dolorosa visione della tragedia che l’uomo sta scrivendo per sé, con la testa affondata in una cultura cieca.